lunedì 24 giugno 2013

REPORT SULL'APPRENDIMENTO (4)


Fil Rouge
In genere, quando si parla di metodi di studio ed apprendimento, il re dei consigli consta nel "leggi e ripeti, sottolinea, prendi appunti".
Se poi si va a tentar di motivare il perché di quel consiglio, addio. Il massimo ottenibile è un "perché io faccio così". Eppure il cervello lavora in tutt'altro modo, è più fantasioso, ha bisogno di creatività e di emozione, di "linkare" l'emisfero destro (creativo) con quello (logico) sinistro. Cerca emozioni, stimoli, interessi. Si sottovaluta allo stesso modo la parte inconscia del cervello, capace di apprendere quasi istintivamente senza che ce ne rendiamo davvero conto. Eppure, quando si tratta di scrivere, digitare al computer, guidare, andare in bici sappiamo bene come funziona: si impara provando, compiendo inizialmente uno sforzo conscio, per poi memorizzare ed imparare i passaggi base, facendoli e ripetendoli senza neppure pensarci, anche perché altrimenti ci metteremmo troppo.
Provate ad immaginarlo: "Ora devo mettere la terza, sono in seconda. Ok, lascio lentamente il piede destro dall'acceleratore, intanto schiaccio un poco col sinistro sulla frizione, con la mano destra muovo il pomello della marcia effettuando un movimento a destra e poi in alto, quindi rilascio il piede sinistro per premere col piede destro, mentre la sinistra rimane sul volante e continuo a guardare la strada..." e intanto probabilmente la macchina s'è spenta e vi suona dietro una fila che va da Milano a Roma.
Come vedete non funziona così, ma semplicemente c'è una connessione netta tra i vari tipi di memoria e l'apprendimento: si passa dallo sforzo conscio, della memoria semantica a quello inconscio della memoria procedurale, quando l'informazione che sta alla base del materiale appreso passa dall'archivio a memoria breve a quella a lungo termine.
 
 
Anche per le lingue...
La parte inconscia è decisamente maggiore di quanto si pensi, ed è estremamente sottovalutata. Anche qui il passo essenziale è pensare senza sforzo nella lingua target e non analizzare ogni propria parola, vocabolo, traduzione e forma grammaticale prima di parlare: altrimenti magari non sbagliamo, ma creiamo lo stesso tipo di fila che se guidassimo "consciamente" la macchina, e il nostro interlocutore probabilmente sarà già a Roma mentre noi siamo ancora a Milano.
Già avevo detto quanto, invece dell'elaborazione conscia della forma grammaticale, possa essere più utile focalizzarsi sull'input, ascolto, contenuti interessanti e così via... Qui vorrei avanzare nello stesso argomento, sullo stesso sentiero, presentando due tecniche similari che si basano proprio su un diverso modo (dal classico) tramite il quale il cervello intende, e focalizzando l'apprendere sui contenuti, sugli interessi, sulle storie.
 
 
TPR, TPRS
TPR sta per total physical response, è utile soprattutto agli inizi (livelli base) e sostituisce la traduzione delle parole ad una "conversione in azione", che rende il tutto più immediato, giocoso, e aiuta a pensare in lingua, appunto. È un metodo pratico sviluppato da James Asher basato su ordini, o istruzioni che un insegnante può dare e mostrare agli allievi, per "mostrare" le parole, le forme e le azioni corrispettive. Come se la lingua andasse in scena a teatro. O come se si giocasse ad un vecchio gioco per bambini: "Simon dice"... dove a questa formula d'avvio (Simon dice, appunto) gli altri devono seguire i suoi ordini e per esempio saltare se "Simon dice: <saltate in aria>, sedersi se Simon dice <sedetevi> e così via.
TPRS, Teaching Proficiency through Reading and Storytelling. Evoluzione del metodo di prima, sviluppato da Blaine Ray, credo sia invece più adeguato per un livello conoscitivo intermedio, e si basa invece che sui gesti e sulle azioni, sulle storie. Racconti ed intrecci semplici (e non) la cui funzione è acquistare familiarità con la lingua target, tramite risposta a varie domande sul contenuto della storia, l'ascolto della medesima, l'interazione e la creazione interattiva. 
 
 
La base teorica... Natural language acquisition
Entrambi i metodi si basano sugli studi e le teorie (tra gli altri) di Stephen Krashen, (Natural language acquisition) riguardanti l'acquisizione in modo naturale non solo della prima lingua (madre) ma anche della seconda (target). In breve, Krashen parla di due differenti metodi per apprendere le lingue:
1) Studiare: ossia analizzare la grammatica coscientemente, studiare i vocaboli, ripetere le coniugazioni e correggere gli errori, oppure
2) Acquisione: (io lo chiamerei semplicemente apprendere) che si basa invece sull'immersione linguistica, sulla capacità dell'inconscio (come accade per esempio nelle relazioni tra memoria e sogni), sulla lettura estensiva di input interessanti e progressivamente comprensibili.
Va da sè che in questa teoria l'unico approccio realmente efficace sia il secondo, basato proprio sull'acquisizione "naturale" del linguaggio, in base alla ricerca di contenuti interessanti, lettura estensiva - ossia quando si legge per il piacere di farlo, e non per analizzare il testo – e apprendimento inconscio. Il che non vuol dire che si apprenda senza far niente, è necessario l'impegno, il tempo, e l'abitudine, ma significa che si utilizzano tutte le abilità del cervello e della persona umana. Questa teoria si basa inoltre sul fatto che nell'insegnamento ci sia un'inversione delle parti, dei tempi: si sostiene "classicamente" che si debba prima imparare la grammatica, le strutture ed i tempi, poi leggere qualcosa d'interessante.
Krashen invece sostiene proprio il contrario: bisognerebbe partire dalla lettura, ascolto di materiale semplice ed interessante (magari partendo da fiabe o libri per bambini), e imparare in esso, principalmente inconsciamente, le formule e la grammatica, poi, casomai, una volta recepite le basi leggendo ed ascoltando (e giocando), si potrà con più facilità e meno noia spulciare le regole grammaticali del caso per migliorare la nostra esposizione, memorizzandole peraltro più facilmente, e senza la noia e le difficoltà che avremmo normalmente. In sostanza, questo significa che un input adeguato serve a produrre (ad imparare) un output corrispondente. Questo anche perché nell'apprendimento interviene un "filtro affettivo", ossia, molto semplicemente, se ci annoiamo o ci troviamo in difficoltà cercando di migliorarci (pensando magari più ai test che non alla nostra progressione nelle lingue) finiremo anche per bloccare il nostro cammino intellettuale, come è ovvio che sia.



 
(continua...)
 

lunedì 17 giugno 2013

REPORT SULL'APPRENDIMENTO (3)


Metodi a confronto
Continuo seguendo il filo delle lingue.
Dicono che conoscere una nuova lingua non sia solo comunicare con persone di diversa nazionalità, ma sviluppare e conoscere un'altra parte di se stessi, entrare in un nuovo contesto culturale e conoscere ambienti differenti. Ultimamente ho fatto delle ricerche e ho "scoperto" che spesso si rimane bloccati nella via dello studio di lingue straniere senza riuscire a raggiungere una discreta fluenza perché i metodi "scolastici ed accademici" sono troppo fissati sulle regole, sulla teoria - spiegata perlopiù nella lingua madre e non in quella target - e non si trova un ambiente di immersione nel linguaggio che si vuole apprendere. Vari studi, ricerche e sperimentazioni mostrano e spiegano che ci sono metodi migliori.
Per esempio, Stephen Krashen e Alexander Arguelles hanno dimostrato come spesso l'eccesso di teoria e la carenza di pratica, di immersione linguistica non produca effetti stabili nell'apprendimento di altri idiomi. Del resto, possiamo accorgercene direttamente noi, tramite le nostre esperienze: a tutti è capitato di studiare per esempio inglese o francese per anni, a scuola, ma alla fine la maggior parte di noi non ha raggiunto un livello fluente, fatica a comprendere video in inglese e, peggio ancora, non sa tenere una normale conversazione con un nativo. Pensate infatti a come avete appreso la vostra lingua madre: non di certo studiando per ore e ore la grammatica o ripetendo regole che la maggior parte dei nativi non conosce nemmeno da adulti, seppure inconsciamente le sappia applicare velocemente e senza sforzo quando parla.
Del resto quando parlate in italiano (o comunque nella lingua madre) non state a pensare prima "ok, ora devo usare il congiuntivo imperfetto del verbo avere. Ora il futuro anteriore..." (A proposito qual è il participio passato del verbo "redimere"? E il passato remoto di "prudere"? ). Riusciamo a pensare nella nostra lingua madre perché l'abbiamo appresa con un metodo naturale, ascoltando e ricevendo continuamente input. Ascolto e ripetizione. Interesse per il contenuto. Progressione di difficoltà del contenuto medesimo. Vari studi moderni affermano che questa è la chiave.


Ma non solo i bambini apprendono con un metodo naturale
Il mito per cui solo i bambini sanno apprendere una lingua con un approccio naturale è da sfatare. I bambini hanno delle facilità, per la "fluidità" del cervello nei primi anni di vita, in specie per quanto riguarda il miglioramento della pronuncia, ma hanno anche meno conoscenze pregresse, meno possibilità di associazione mentale e culturale, meno possibilità quindi di creare sinapsi e connessioni. La memoria e la creatività sono simili alla rete di un ragno: più sono grandi, maggiori connessioni possiedono, meglio catturano altri contenuti, meglio funzionano. Quindi gli adulti potrebbero perfino imparare più velocemente una lingua, se utilizzassero un approccio più diretto, più divertente e meno teorico. È il metodo il problema. O un tipo di approccio a cui siamo abituati più o meno in tutto. Studiare e non apprendere.
Eppure...
Se ci pensate, sono cose che a livello di "buon senso" si sanno: si dice sempre che un buon metodo per imparare una lingua sia guardare tanti film in lingua originale, prima coi sottotitoli in lingua madre, poi in lingua target, e poi senza (in progressione). O non si dice sempre che l'unico vero metodo per imparare bene una lingua straniera sia recarsi e vivere nel posto in cui questa è parlata? Qui buon senso comune e nuove ricerche scientifiche si accordano: quel che serve è un continuo input, ricreare l'ambiente ed immergersi! Ed è anche assai più divertente che studiare a memoria concetti astratti, tabelle dei verbi e coniugazioni varie ed eventuali. In fin dei conti il linguaggio è comunicazione umana, e non analisi logico-matematica. Solo che il buon senso è stato dimenticato (specialmente dopo il periodo delle due guerre mondiali) nelle aule scolastiche ed in quelle universitarie. Lì sembra che non si possa apprendere qualcosa se non lo si fa con fatica e sudore: di certo bisogna impegnarsi per apprendere bene una lingua, e ci vuole del tempo, ma sarà più facile farlo se l'attività all'apprendimento connessa risulta piacevole e interessante.
 
 
Steve Kaufmann
Su questo argomento, persone come A. J. Hoge e Steve Kaufmann consigliano apertamente di slegarsi dal solito approccio accademico e teorico e, come suggerito anche da Krashen ed altri, indicano come via maestra proprio l'opposto del classico e vecchio procedimento scolastico: iniziare a leggere e guardare cose semplici, per esempio racconti per bambini o sigle Disney in lingua (anche la musica può aiutare per la pronuncia, e il piacere ad essa associato), prima di studiare la grammatica. La grammatica serve, ma va usata come un bignami o, meglio ancora, come un dizionario: quando ti serve per rivedere rapidamente qualcosa, prendi il libro e lo sfogli, ma pretendere di imparare a memoria regole su regole che poi non sai applicare velocemente (specialmente nella comprensione e nel parlato) non serve a nulla.
Steve Kaufmann è un poliglotta: ora parla qualcosa come dodici lingue (!) in maniera fluente (qualcuna di più qualcuna di meno), ed egli afferma di essere una persona assolutamente normale, solo ha imparato queste lingue con un metodo efficace e semplice. Del resto, solo ciò che è semplice può essere applicato pragmaticamente. Qui possiamo semplificare il suo metodo in alcuni punti chiave che costituiscono il suo "credo":
- Per apprendere la lingua bisogna spendere tempo, e per farlo bisogna trovare qualcosa che ti piace fare.
- Bisogna soprattutto immergersi, e avere molti e molti input (leggere e ascoltare, video, film e così via). L'input è la chiave.
- Bisogna raggiungere una buona abilità nel notare (a furia di input), le particolarità della lingua: e questa è un'abilità che si sviluppa spendendo tempo con la lingua target.
- Bisogna trovare argomenti e contenuti interessanti (ti piace la storia? Usa libri, film e podcast di storia. Ti piacciono riviste e fumetti? Sai cosa utilizzare) per te. L'attività dell'apprendimento linguistico è una cosa personale.
- L'attività fondamentale nell'apprendimento linguistico è costruirsi un vocabolario. Progredire ed aumentarlo renderà più facile la comprensione e la lettura, e quindi faciliterà la capacità di notare le particolarità della lingua e lo sviluppo inconscio di quest'ultima, e quindi la capacità di pensare nella lingua target. Quindi di raggiungere la fluenza potendo parlare istintivamente, rapidamente, e senza sforzo.
Questo, in breve, mi pare un ottimo metodo per apprendere le lingue.
Vi sarebbe molto altro da dire, che altri autori o altri poliglotti consigliano (su youtube ne trovate a volontà), per esempio collegando alcune tecniche di memoria per la costruzione e lo sviluppo del proprio vocabolario mentale. Preciso subito una cosa: queste tecniche permettono di velocizzare la memorizzazione dei vocaboli, e i vocaboli servono per facilitare la comprensione e l'utilizzo della lingua. Ma non bastano. Ancora, sono d'accordo con Steve Kaufmann: la via maestra è l'input. Altri punti da segnalare credo siano:
1) La potenza dell'ascolto e degli mp3 nell'apprendimento: questi strumenti permettono infatti di ascoltare file audio, podcast, registrazioni anche mentre stai facendo altro: lavando i piatti, correndo, aspettando il bus, e quindi possono facilmente incrementare il tempo di immersione nella lingua, anche sfruttando i "tempi buchi" che ci capitano durante la giornata. Sia mai che un'attesa dal medico o alla pensilina del bus non diventi più produttiva ed interessante!
2) Bisogna avere la costanza di studiare, anzi, di imparare e di immergersi, anche poco, ma tutti i giorni. In questo modo ci sarà un miglioramento continuo, e si costruirà anche una maggiore fiducia in se stessi che, a sua volta, migliorerà le prestazioni, e così via costruendo un circolo virtuoso. Ma parlerò meglio di questo in seguito.
 
 
 

(continua...)
 
 

lunedì 10 giugno 2013

REPORT SULL'APPRENDIMENTO (2)


Intermezzo Narrativo
Aggiungo una storiella sull'apprendimento ed il cosiddetto "fallimento".
 
Una volta, non importa quale volta, o quanto tempo fa, c'erano due bambini che volevano imparare a sciare. Il loro padre era un fisico, ed era anche un discreto sciatore,così fu ben felice di aiutarli in quella loro scelta, fu ben contento di poter soddisfare quella loro voglia. Li portò su una bella montagna, fece loro mettere gli sci e, mostrando loro coloro che scendevano dal declino, gli spiegò le astratte leggi fisiche che regolavano la discesa, l'attrito, il piano inclinato.... la forza di gravità.... E dunque provarono a salire un poco, ed a scendere con gli sci. Entrambi caddero. Ma era la prima volta: era normale.
Entrambi pensarono di non aver ben inteso la lezione del padre, e si rimisero in posa per aspettare una replica che non tardò ad arrivare. Il padre ritentò la via dell'astrazione, e mostrò loro sul suo diario dei calcoli, dei disegni, per rendergli più facile ed accessibile la comprensione. Quindi ritentarono, e caddero pochi secondi dopo: ma non erano certo degli esperti, solo incominciarono a lamentarsi di tutta quella teoria. Uno di loro, con un faccino sorridente ma un poco stizzito (sì, era tanto espressivo da riuscire ad unire stizza e diletto) commentò così le congetture del padre "troppa trama!". Non che le trovasse inutili o pedanti, ma non erano adatte al contesto. Il padre allora si arrese, e mostrò semplicemente loro i movimenti da fare, come tenere le gambe (e quindi gli sci) e le braccia (e quindi le racchette). Il terzo ed il quarto tentativo andarono decisamente meglio, seppure i due bimbi ruzzolarono entrambi. Solo dopo qualche tempo, uno dei due decise che, basta, non ne voleva più sapere. Evidentemente doveva essere incapace di sciare: inadatto a farlo. Per questo, non imparò più davvero. Il secondo bambino fece fatica, ci spese del tempo, ma finalmente riuscì ad imparare, ed in futuro divenne anche bravo, sicuramente più del padre. Non è che fosse più "adatto" o talentuoso del fratello, no. C'era solo una differenza tra i due. Il primo aveva preso le sue cadute, i suoi fallimenti, come uno stop, come un segnale di un'incapacità congenita. Il secondo aveva preso le sue cadute come qualcosa da cui imparare: aveva capito che non doveva muoversi in un certo modo, stare in una certa posizione, e simili. Aveva capito che non esistono fallimenti, ma solo esperienze.

"Molti fallimenti nella vita si segnalano da parte di quegli uomini che non realizzano quanto siano vicini al successo nel momento in cui decidono di arrendersi." Thomas Edison
 
 
Lingue e Linguaggi

"Ciascuna lingua, sotto l'aspetto delle relazioni intellettuali, è un vocabolario di
metafore sbiadite."
(Jean Paul)


Passiamo alle lingue. Che cos'è una lingua?
Deriva da lengua, lengoa, può dipendere da lingere, lambire, o dalla più antica dingua, più simile all'inglese tongue. Ma qui si indica prevalentemente l'organo animale, la lingua, appunto.
Per arrivare al linguaggio dobbiamo spostarci a lingua + aggio (aticus), ossia uso della lingua per esprimere opinioni, sentimenti, stati d'animo. Da qui possiamo passare a idioma, che indica quanto di proprio specifica e diversifica una lingua dalle altre. Loquela indica la potenza, la possibilità di parlare e di esprimere favella, dal latino fabèi, diminutivo di fabula, come racconto, capacità di parlare, che viene da parler, parabolare, quindi parabola. Quindi ancora racconto, aneddoto, fiaba. Si ripete la cosa nel langage francese e idioma spagnolo. E nello sprache tedesco, che si riferisce all'orazione verbale.
 
“La lingua spagnola è la più amabile; quando il diavolo tentò Eva, le parlò in spagnolo”. (Proverbio italiano)
 
 
Comunicazione e racconto
Sembrano più che altro sottostare a questi appellativi, a questi nomi. Forse ancora per le consuetudini antiche, di ricordare (che del resto indica "tornare indietro"), l'esigenza del comunicare, dell'ascoltare, dell'esprimere e del raccontare più che dell'analizzare, dello scomporre, del regolare. Sul linguaggio si è detto di tutto, che sia ciò che ci distingue dalle bestie, che il suo vero scopo sia non la comunicazione del senso, ma l'azione, l'uso, un continuo ordinare (pragmatica), o che sia solo una fonte di fraintendimento.
 
"Ci troviamo meglio in compagnia di un cane conosciuto che di un uomo il cui linguaggio ci è sconosciuto." (Michel de Montaigne)
 
Viene forse spesso dimenticato l'uso che ha nel racconto. Non solo di storie, ma di semplici esperienze. Non stiamo forse a raccontare cosa abbiamo fatto, cosa stiamo facendo, cosa vogliamo fare, ai nostri amici? Forse più che far intendere qualcosa al nostro interlocutore, vogliamo avvicinarlo al nostro vissuto, al nostro racconto. Non è necessario che comprenda tutto, ma che lo "veda", per immagini, similitudini, e forse che lo ricordi, per poterlo confrontare con il suo, e far interagire i nostri diversi racconti. Del resto, ricordiamo prevalentemente per immagini, e i racconti forniscono immagini, associazioni, evoluzioni...
 
"Il linguaggio non è una cintura di castità, ma un mezzo per comunicare." (Ezra Pound)
 
È anche interessante vedere come molte delle definizioni o derivazioni che abbiamo visto sopra sul linguaggio, tendano a definire, tramite una sorta di muro, di distinzione (vedasi idioma) una lingua nazionale, quando invece si tratta più di miscugli, di storie che si intrecciano, e di identità rivelate in racconti in cui si fanno processi,viaggi e interconnessioni.
 
"Impara una nuova lingua e avrai una nuova anima." (Proverbio ceco)
 
Anche nell'apprendimento di una nuova lingua, forse bisognerebbe tenere in conto questa prevalenza della comunicazione, del racconto, della connessione. Ma direi anche del piacere ad essa connesso. Come imparano i bambini la loro lingua naturale, o lingua madre ad esempio: non tanto studiando continuamente la grammatica, cercando di memorizzare "a forza" ogni regola ed ogni convenzione linguistica, ma ascoltando, assimilando, e poi ripetendo, anzi, inventando. Perché stando a Noam Chomsky ed i suoi studi sulla grammatica universale, il bambino più che "ripetere" i meccanismi linguistici, ci si immerge, sviluppa una grammatica mentale propria, che è una via di mezzo tra quella convenzionale della sua lingua e quella che lui intende per semplificazioni e accomodamenti. In seguito, la perfeziona e la arricchisce, rendendola quindi sempre più simile a quella originale. In questo senso, tutti gli uomini avrebbero una sorta di grammatica mentale generalissima (fatta di concetti logici, soggetti, predicati e fatti simili in tutte le lingue) come struttura base, poi ogni lingua avrebbe una serie di "slot" diversi, ma sempre collegati alla grammatica universale. In breve, è un po' come dire che tutti siamo predisposti per apprendere altre lingue, ma la chiave è sfruttare maggiormente i nostri meccanismi mentali, il nostro diletto, e forse proprio i racconti per immergerci in esse, nei racconti che le altre lingue ci svelano, e farne parte. Detto altrimenti, immergerci, ed anteporre l'ascolto, la lettura di input comprensibili allo studio convenzionale ed analitico. Ancora, apprendere più che studiare, "afferrare", più che controllare. E, probabilmente, usare più la nostra creatività incosciente, la nostra fantasia associativa, che non la nostra analisi cosciente.

Stephen Krashen ed altri parlano per esempio di questo.

 
 
(continua...)
  

lunedì 3 giugno 2013

REPORT SULL'APPRENDIMENTO (1)


 
Premessa
Il seguente report vuole essere una breve panoramica, o una raccolta di spunti, sulla tematica dell'apprendimento delle lingue. Meglio, su alcuni metodi poco "conosciuti" ma che secondo diversi appassionati e studiosi sarebbero più efficaci in quanto più in linea con il metodo d'apprendimento del cervello stesso.
Per esempio, verranno presentati i metodi TPR e TPRS, l'importanza dell'input, dell'ascolto e dell'apprendimento naturale nello "studio" delle lingue straniere.
Nel report vi sarà anche una lista di siti utili ed una possibile applicazione nel campo delle tecniche di memoria che abbiamo visto su http://www.imparareadimparare.com
 

Studiare ed Apprendere
Prima di iniziare a parlare delle lingue è meglio parlare della differenza esistente tra "studiare" ed "apprendere", che è poi il motivo per il quale, nella premessa a questo report, ho messo tra virgolette il termine "studio": spesso si associano a questo verbo sensazioni negative come noia,  pesantezza, fastidio, ma specie in alcuni campi, come quello della linguistica, si può parlare più che altro di apprendimento. Il linguaggio è qualcosa di eminentemente umano, e dunque vitale. Come tale, va vissuto, più che studiato. O almeno imparato. E "imparare" credo sia un verbo meno legato alla noia ed al tavolo, e più al gioco, alla curiosità, al progresso.
Per iniziare il nostro "pre viaggio" nel mondo dell'apprendimento è forse il caso di partire dalle basi, dai termini, dall'etimologia.
 

Cosa significa apprendere?
Vorrei quindi far qui un'analisi, o meglio, un raffronto. Mettere in scena un incontro tra due termini. Apprendere e studiare.
Studiare ed apprendere: sono parole interessanti. Così simili e così diverse.
 
"I piaceri che derivano dal contemplare e dall'apprendere fanno sì che si contempli e si apprenda ancor di più", (Aristotele)
 
"Studiare" significa qualcosa come "applicare il proprio ingegno per imparare qualcosa col sussidio di libri, di maestri, di esercizi e simili", oppure "riferito al proprio comportamento, controllare con molta attenzione o anche con troppa ricercatezza". Deriva da Studium, stud-ère, sta per sollecitare, sforzarsi di fare, esaminare con diligenza, ingegnarsi. Tant'è che in spagnolo suona più direttamente come "esforzarse" o "examinar". La cosa però interessante è che i contrari di "studiare" suonano come: concretizzare, attuare, realizzare, eseguire, mettere in pratica...
"Apprendere" deriva invece da "Apprehèndere", e prehèndere, quindi afferrare, prendere, impossesarsi. Afferrare con la mente. E ancora conquistare, digerire, predicare... ruota intorno al francese apprendre, il learning inglese (get to know) e amaestrado e aprender spagnolo. Il contrario, molto più direttamente, suona come ignorare, disimparare, disassuefarsi (sì, apprendere e imparare sono gesti assuefacenti, una droga)...  Notate qualcosa di interessante? Io sì...
In effetti è proprio guardando i contrari di "studiare" che si capisce meglio cosa significa. Non mettere in pratica, non realizzare, cercare un'astrazione nello sforzo. Astrazione che, in modo singolare, si attua generalmente in alcuni luoghi chiamati scuole (scholè) che indicano etimologicamente ozio, riposarsi, aver tempo di occuparsi di qualcosa per divertimento. Ma il divertimento in genere non è uno sforzo, un combattere, un esaminare... Più direttamente trovo interessante che la definizione in questione dia ampi suggerimenti di cosa sia diventato lo studio istituzionale: uno sforzo per prepararsi a... superare degli esami. La scuola non può che preparare ad altre scuole, a superare altri test. Lungi da me pensare che la scuola e lo studio debbano fornire solo delle skills con le quali svendersi più facilmente alle aziende. L'una è una prassi troppo italiota, l'altra troppo americana. Ma sarebbe bello se si riuscisse a sostituire spesso la parola "studiare" con la parola "apprendere". V'è dentro più mistero, più fascino, più gestualità e più pratica. Forse anche una maggior libertà: un'approssimarsi alla scoperta della conoscenza senza il peso e la costrizione della sedia e del tavolino. Senza l'indottrinamento scolastico, perché posso sforzarmi di pensare come qualcun altro, come il maestro mi insegna, ma non posso conquistare, drogarmi di qualcosa per conto terzi.
Credo che nella parola "apprendere" ci sia anche il piacere che ne deriva o, semplicemente, il piacere di fare qualcosa che ci intriga e che, quindi, ci fa apprendere...
Si studia la tabellina ma si apprende a fare i calcoli. Si studia la forma della bici ma si impara, si apprende ad andare in bicicletta. Si studia la grammatica ma si impara\apprende a comunicare in un'altra lingua. Sarebbe intrigante trovare una coerenza tra il sapere ed il saper fare, e sto ormai convincendomi che l'indipendenza, la stravaganza ed il mistero contenuti nella parola "apprendimento" possano esserne una fonte.
 
"Dev'essere proposito eguale dell'insegnante e del discepolo: che uno voglia giovare e l'altro apprendere", (Seneca)
 
 

(continua...)