lunedì 10 giugno 2013

REPORT SULL'APPRENDIMENTO (2)


Intermezzo Narrativo
Aggiungo una storiella sull'apprendimento ed il cosiddetto "fallimento".
 
Una volta, non importa quale volta, o quanto tempo fa, c'erano due bambini che volevano imparare a sciare. Il loro padre era un fisico, ed era anche un discreto sciatore,così fu ben felice di aiutarli in quella loro scelta, fu ben contento di poter soddisfare quella loro voglia. Li portò su una bella montagna, fece loro mettere gli sci e, mostrando loro coloro che scendevano dal declino, gli spiegò le astratte leggi fisiche che regolavano la discesa, l'attrito, il piano inclinato.... la forza di gravità.... E dunque provarono a salire un poco, ed a scendere con gli sci. Entrambi caddero. Ma era la prima volta: era normale.
Entrambi pensarono di non aver ben inteso la lezione del padre, e si rimisero in posa per aspettare una replica che non tardò ad arrivare. Il padre ritentò la via dell'astrazione, e mostrò loro sul suo diario dei calcoli, dei disegni, per rendergli più facile ed accessibile la comprensione. Quindi ritentarono, e caddero pochi secondi dopo: ma non erano certo degli esperti, solo incominciarono a lamentarsi di tutta quella teoria. Uno di loro, con un faccino sorridente ma un poco stizzito (sì, era tanto espressivo da riuscire ad unire stizza e diletto) commentò così le congetture del padre "troppa trama!". Non che le trovasse inutili o pedanti, ma non erano adatte al contesto. Il padre allora si arrese, e mostrò semplicemente loro i movimenti da fare, come tenere le gambe (e quindi gli sci) e le braccia (e quindi le racchette). Il terzo ed il quarto tentativo andarono decisamente meglio, seppure i due bimbi ruzzolarono entrambi. Solo dopo qualche tempo, uno dei due decise che, basta, non ne voleva più sapere. Evidentemente doveva essere incapace di sciare: inadatto a farlo. Per questo, non imparò più davvero. Il secondo bambino fece fatica, ci spese del tempo, ma finalmente riuscì ad imparare, ed in futuro divenne anche bravo, sicuramente più del padre. Non è che fosse più "adatto" o talentuoso del fratello, no. C'era solo una differenza tra i due. Il primo aveva preso le sue cadute, i suoi fallimenti, come uno stop, come un segnale di un'incapacità congenita. Il secondo aveva preso le sue cadute come qualcosa da cui imparare: aveva capito che non doveva muoversi in un certo modo, stare in una certa posizione, e simili. Aveva capito che non esistono fallimenti, ma solo esperienze.

"Molti fallimenti nella vita si segnalano da parte di quegli uomini che non realizzano quanto siano vicini al successo nel momento in cui decidono di arrendersi." Thomas Edison
 
 
Lingue e Linguaggi

"Ciascuna lingua, sotto l'aspetto delle relazioni intellettuali, è un vocabolario di
metafore sbiadite."
(Jean Paul)


Passiamo alle lingue. Che cos'è una lingua?
Deriva da lengua, lengoa, può dipendere da lingere, lambire, o dalla più antica dingua, più simile all'inglese tongue. Ma qui si indica prevalentemente l'organo animale, la lingua, appunto.
Per arrivare al linguaggio dobbiamo spostarci a lingua + aggio (aticus), ossia uso della lingua per esprimere opinioni, sentimenti, stati d'animo. Da qui possiamo passare a idioma, che indica quanto di proprio specifica e diversifica una lingua dalle altre. Loquela indica la potenza, la possibilità di parlare e di esprimere favella, dal latino fabèi, diminutivo di fabula, come racconto, capacità di parlare, che viene da parler, parabolare, quindi parabola. Quindi ancora racconto, aneddoto, fiaba. Si ripete la cosa nel langage francese e idioma spagnolo. E nello sprache tedesco, che si riferisce all'orazione verbale.
 
“La lingua spagnola è la più amabile; quando il diavolo tentò Eva, le parlò in spagnolo”. (Proverbio italiano)
 
 
Comunicazione e racconto
Sembrano più che altro sottostare a questi appellativi, a questi nomi. Forse ancora per le consuetudini antiche, di ricordare (che del resto indica "tornare indietro"), l'esigenza del comunicare, dell'ascoltare, dell'esprimere e del raccontare più che dell'analizzare, dello scomporre, del regolare. Sul linguaggio si è detto di tutto, che sia ciò che ci distingue dalle bestie, che il suo vero scopo sia non la comunicazione del senso, ma l'azione, l'uso, un continuo ordinare (pragmatica), o che sia solo una fonte di fraintendimento.
 
"Ci troviamo meglio in compagnia di un cane conosciuto che di un uomo il cui linguaggio ci è sconosciuto." (Michel de Montaigne)
 
Viene forse spesso dimenticato l'uso che ha nel racconto. Non solo di storie, ma di semplici esperienze. Non stiamo forse a raccontare cosa abbiamo fatto, cosa stiamo facendo, cosa vogliamo fare, ai nostri amici? Forse più che far intendere qualcosa al nostro interlocutore, vogliamo avvicinarlo al nostro vissuto, al nostro racconto. Non è necessario che comprenda tutto, ma che lo "veda", per immagini, similitudini, e forse che lo ricordi, per poterlo confrontare con il suo, e far interagire i nostri diversi racconti. Del resto, ricordiamo prevalentemente per immagini, e i racconti forniscono immagini, associazioni, evoluzioni...
 
"Il linguaggio non è una cintura di castità, ma un mezzo per comunicare." (Ezra Pound)
 
È anche interessante vedere come molte delle definizioni o derivazioni che abbiamo visto sopra sul linguaggio, tendano a definire, tramite una sorta di muro, di distinzione (vedasi idioma) una lingua nazionale, quando invece si tratta più di miscugli, di storie che si intrecciano, e di identità rivelate in racconti in cui si fanno processi,viaggi e interconnessioni.
 
"Impara una nuova lingua e avrai una nuova anima." (Proverbio ceco)
 
Anche nell'apprendimento di una nuova lingua, forse bisognerebbe tenere in conto questa prevalenza della comunicazione, del racconto, della connessione. Ma direi anche del piacere ad essa connesso. Come imparano i bambini la loro lingua naturale, o lingua madre ad esempio: non tanto studiando continuamente la grammatica, cercando di memorizzare "a forza" ogni regola ed ogni convenzione linguistica, ma ascoltando, assimilando, e poi ripetendo, anzi, inventando. Perché stando a Noam Chomsky ed i suoi studi sulla grammatica universale, il bambino più che "ripetere" i meccanismi linguistici, ci si immerge, sviluppa una grammatica mentale propria, che è una via di mezzo tra quella convenzionale della sua lingua e quella che lui intende per semplificazioni e accomodamenti. In seguito, la perfeziona e la arricchisce, rendendola quindi sempre più simile a quella originale. In questo senso, tutti gli uomini avrebbero una sorta di grammatica mentale generalissima (fatta di concetti logici, soggetti, predicati e fatti simili in tutte le lingue) come struttura base, poi ogni lingua avrebbe una serie di "slot" diversi, ma sempre collegati alla grammatica universale. In breve, è un po' come dire che tutti siamo predisposti per apprendere altre lingue, ma la chiave è sfruttare maggiormente i nostri meccanismi mentali, il nostro diletto, e forse proprio i racconti per immergerci in esse, nei racconti che le altre lingue ci svelano, e farne parte. Detto altrimenti, immergerci, ed anteporre l'ascolto, la lettura di input comprensibili allo studio convenzionale ed analitico. Ancora, apprendere più che studiare, "afferrare", più che controllare. E, probabilmente, usare più la nostra creatività incosciente, la nostra fantasia associativa, che non la nostra analisi cosciente.

Stephen Krashen ed altri parlano per esempio di questo.

 
 
(continua...)
  

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