lunedì 1 luglio 2013

REPORT SULL'APPRENDIMENTO (5)


Acquisire un'abitudine: il Kaizen
Prima abbiamo parlato di come l'immersione (audio e non) nella lingua target, la lettura estensiva, il vivere un'altra lingua, abbiano bisogno di costanza e di tempo: per farlo, è necessario sviluppare un'abitudine pressoché quotidiana. Anche poco, ma sempre. Del resto, se lo studio diventa apprendere, e quindi più lieve, dovrebbe essere più facile essere costanti. Sviluppare un'abitudine, però, è qualcosa di più profondo ed interessante. Per spiegarmi meglio, utilizzerò una filosofia: quella del Kaizen.
 
“L’essenza stessa del Kaizen è molto semplice e quasi disarmante: Kaizen significa migliorare grazie al coinvolgimento di tutti, lavoratori e manager. La filosofia Kaizen prevede che il nostro modo di vivere, al lavoro, nella vita sociale, tra le pareti di casa, migliori in maniera costante.” (Masaaki Imai)

 

 

Ora, come dice l’immagine, il concetto è assai semplice. Cambiare per il meglio. Un passetto alla volta. Poi, in realtà, la cosa può essere più complessa, perché almeno normalmente, parlando di Kaizen, si va a parlare di TQM (total quality management), di just in time (a me viene sempre in mente just in case, ma è un’altra cosa), collaborazione aziendale e blablabla… Cose che appunto rendono complicato un concetto semplice ma, se proprio volete saperne di più, studiatevi questo schemino:
 
 
 
 
recuperato da
www.resistenzaumana.it, che peraltro consiglio vivamente di sbirciare.

Qui, a dire il vero, non voglio neanche parlare del Kaizen Institute di Masaaki Imai (diciamo che l’ho liquidato con la citazione iniziale), o del fatto che molti concetti del “Kaizen aziendale” derivano dai lavori di William Edwards Deming, o dei progetti della Toyota anni ’50. In parte, perché sono più interessato alla semplicità della cosa, e al suo livello “filosofico”. In parte perché sono d’accordo con Lev Tolstoj quando afferma che “Tutti pensano a cambiare l’umanità ma nessuno pensa a cambiare sé stesso“. Per la semplicità il discorso è… semplice.
Troppo nozionismo, troppa astrazione, rendono solo le cose più… noiose. Si studia, ma non si apprende. Si complicano le cose semplici, per fingere di essere chissà quali pezzi grossi della cultura, o perché non si è in grado di rendere una cosa interessante e semplice. In altre parole, fruibile. Anzi, gustosa: è una parola più semplice, e mi piace di più.

 
“Tre sono le regole principali del mondo del lavoro: dal disordine e dalla confusione cercate di tirare fuori la semplicità; nei contrasti ricercate l’ironia e, infine, ricordate che l’opportunità risiede proprio nel bel mezzo delle difficoltà”. (Albert Einstein)
 
Questa mi pare già una miglior definizione del senso del Kaizen come “gusta” a me. Solo, credo non si applichi solo al mondo del lavoro, ma un po’ in tutto. Vero è che… non è semplice essere semplici.
 
“E’ facile avere un’idea complicata. La cosa davvero molto, molto complicata è avere un’ idea semplice” (Carver Mead)

Ma il kaizen aiuta anche in questo: è difficile pensare ad un obiettivo a lungo termine, se lo si guarda da lontano, o se si guarda solo alla meta finale. Al risultato. Più facile è se lo si guarda sminuzzato in vari passaggi, in vari momenti. Imparare una lingua, scrivere un libro, suonare uno strumento, sono tutte cose che richiedono tempo. Dicono (forse un po’ banalmente) che una normale conversazione in lingua abbisogna di circa 2500 vocaboli. O, se preferite, che nell’80% dei casi si usano “solo” quei vocaboli. Ovviamente una lingua è fatta anche di altre cose: di regole, di orecchio, di cultura… ma anche se fosse solo quello, richiede molte ore di studio. Molti giorni, molti mesi. E pensare ad un tale carico, ad un tale ammontare di impegno, stressa parecchio.
Demotiva, anzi.
E senza motivazione, senza diletto, si fa poca strada. Se però si suddivide questa lunga strada in molti semplici passi, improvvisamente il tutto diventa più spontaneo, più gestibile, ed anche più divertente. Non solo, si immette un passo in ogni giorno, rendendo il proprio impegno costante e ridotto. Inutile cioè spendere troppo tempo in una botta sola, salvo poi dimenticarci il nostro “percorso”, miglioramento, o semplicemente il nostro studio di settimane. Ci si dimentica tutto. Questo lo ribadisce anche la ripetizione dilazionata: meglio poco e spesso, che tanto e di rado. La nostra memoria, infatti, se si prende delle pause, e se non viene massacrata da un carico di lavoro troppo elevato in una sola fase, lavora molto meglio. Idem per quanto concerne il livello di attenzione.
 
“Niente è davvero difficile se lo si divide in tanti piccoli pezzettini” (Henry Ford)
 
In questo, trovo interessante notare che il kaizen (se così inteso) non è certo un’invenzione della Toyota, di Masaaki Imai o di Deming. È qualcosa di molto più antico, proprio perché qualcosa di molto ovvio, e proprio per questo – forse – tendiamo a dimenticarlo. Resto infatti dell’idea che le migliori scoperte sono ciò che disseppelliamo dall’oblio, dal buon senso, da tutto ciò che col tempo abbiamo complicato. Non solo, ovviamente, ma molto spesso è questione di prospettiva, di come si guardano (e si tornano a guardare) le cose.

“Il miglioramento continuo è meglio della perfezione in ritardo” (Mark Twain)




(continua...)


 


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